Meneghina Express’ numbers:

12379 Kilometers in 44 days

350 hours riding

297 batteries recharged

12 countries

4500Kg Co2 reduced vs. gas

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Giorno 22 - Kazakhstan flag - 1 Luglio

Da Semey a Kurchatov: Con gli occhi di un bambino

Che sarebbe stata una giornata vicina ai “più piccoli”, avremmo dovuto capirlo stamattina, quando di fronte alla locanda di Semey, dove abbiamo trascorsa la nostra prima notta kazaka, una decina di cagnolini hanno salutata la nostra partenza.

Tappa breve, quella di oggi: duecento km su strade dall'asfalto non troppo irregolare, che si conclude presto rispetto ai nostri standard usuali. Alle diciassette, infatti, siamo già a destinazione. Siamo partiti alle otto e trenta e abbiamo fatte due soste: una per visitare la città-esperimento “fantasma” di Chagan; l'altra per pranzare e ricaricare le batterie delle moto.

Chagan è stata il centro nevralgico degli esperimenti nucleari più segreti e, anche oggi, solo parzialmente dischiusi, avvenuti nell'Unione Sovietica. Dal 1997 questo territorio è kazako a tutti gli effetti, nonostante il Kazaksthan, come avremo modo di raccontare, dipenda ancora fortemente dalla Russia, sia dal punto di vista economico che militare. Inoltre, nella nostra prima giornata qui, grazie all'ottima preparazione della guida Mustapha, stiamo imparando che questo Paese è un enorme connubio di influenze culturali, religiose, politiche – oltre alle numerosissime matrici etniche – ed è il nono al mondo per estensione, con soli diciassette milioni di persone a popolarlo.

Non più popolata, invece, è Chagan: risulta essere un cumulo di macerie e palazzi vuoti, strade diroccate e un sinistro senso di bisogno di fuga. Gli esperimenti nucleari – il cui impatto sulla popolazione ha prodotti migliaia di casi di cancro, malformazione e quanto altro possa generare un'attività del genere se non trattata con enorme consapevolezza – ebbero luogo negli anni sessanta. Ufficialmente, a quanto pare, furono classificati come studi votati al progresso e alla produzione di energia attraverso fissione, ma uno di essi, in particolare, sebbene condotto sotto terra, sprigionò una tale potenza di megatoni e disperse parecchie scorie radioaddive, capaci di raggiungere il Giappone. Oltre, soprattutto, a creare dal nulla un lago artificiale – di “Chagan” appunto – profondo cento metri e largo quattrocento. Chagan fantasma, è visitabile a rischio e pericolo di chi lo desidera. Tutte le fonti ufficiali e quelle legate alla sicurezza internazionale, hanno scongiurata da un ventennio la presenza di sostanze radioattive. Per cui non abbiamo corso alcun rischio, se non quello di vedere con i nostri occhi la desolazione dell'abbandono, in un luogo dove, ai tempi, si concentrava il meglio dello studio della fisica della parte Est del Mondo.

Tutt'altra cosa, invece, è la possibilità di visitare il Lago. Dista 160 Km da Chagan – perchè ovviamente gli esperimenti veri e propri non venivano fatti nello stesso luogo in cui venivano concepiti e progettati, per chiare ragioni di sicurezza – ed è avvicinabile solo sotto permesso e accompagnamento di esperti (e, qualcuno, dice che gli stessi siano agenti della Sicurezza Nazionale – ex KGB – che controllano chi ci vuole andare e perchè).

Questi “esperti” risiedono a Kurchatov, venti km dopo Chagan, all'interno dei palazzi che ospitano un museo sul nucleare e uno dei piùi mportanti centri di studio e sviluppo di questa energia, o piaga, che il Paese e questo Continente conoscano. Ufficialmente, almeno.

Tanto per farvi capire: noi avremmo avuto accesso al solo museo, dopo avere ottenuto permessi richiesti da Meneghina Express, come visita culturale, mesi prima. Ma oggi abbiamo ritardato il nostro arrivo, a causa delle strade nuove e dello stop per la carica delle batterie. Ebbene, nonostante la mediazione della nostra guida, non abbiamo avuto accesso al museo e nemmeno all'area esterna della struttura, controllata da agenti in mimetica.

Centri imponenti e perfettamente mantenuti, quelli legati al nucleare. Sono due immensi palazzi che sorgono uno di fronte all'altro. L'unica prova moderna in una città povera, mezza diroccata, all'interno della quale ci spingiamo per trovare il luogo dove pernotteremo, “prenotato” preventivamente da Mustapha. Non solo è “il” luogo, ma è pure l'unico. E non è nemmeno un albergo, ma un casermone, un palazzo in perfetto stile comunista, dove vivono centinaia di famiglie e su ogni piano esiste un numero indefinito di camere affittabili, come fossero stanze di albergo. Ne siamo quasi sicuri: qui di “turisti” non ne hanno mai visti.

In questo paese di tredicimila anime, (deve il nome a un fisico i cui studi sul nucleare furono rivoluzionari; prima si chiamava “semplicemente” Semiplantinsk 16, ed era una città segreta), appena arriviamo siamo notati da tutti, sulla bocca di tutti.

Siamo famosi ancora prima di presentarci e i nostri più grandi fans, a livello quasi patologico, sono i bambini!

Diciamo a livello patologico, perchè la loro passione per noi, le nostre macchine, le nostre moto e tutto quello che facciamo o diciamo o guardiamo, ci investe dal primo minuto in cui poggiamo i piedi sulla piazzetta di fronte alla casa popolare-albergo, fino all'ultimo “ciao” che dedichiamo loro. In mezzo: il nostro trasporto bagagli, il plug-in delle moto, la passeggiata attraverso la cittadina, la cena in un punto ristoro, il rientro a piedi. I bambini – dieci, venti, trenta – sono sempre stati con noi. Praticamente, dalle cinque di pomeriggio alle dieci di sera, attendedoci anche fuori dal ristorante.

E, davvero, non perchè volessero qualcosa da noi. Certo hanno risposto con sorrisi, baci, abbracci, strette di mano e dolcezza, al cuore di Nicola e Valerio che hanno regalato loro bibite, caramelle e cioccolatini, o adesivi Meneghina Express che i bambini hanno orgogliosamente appiccicati alle biciclette. Tutto questo, dopo averci chiesto di autografare ogni singolo adesivo, e averci fatte mille domande.

Perchè lo spaccato d'infanzia che abbiamo visto qui – anzi che loro ci hanno concesso di osservare attraverso i propri occhi – non ha niente da spartire con il mendicare qualcosa allo straniero o ingraziarselo per avere denaro in cambio. Affatto.

Certo, abbiamo visto in che senso ci siano povertà e sfascio attorno, ma questi bambini ci sono sembrati il trionfo della bellezza, la speranza per il futuro che, talvolta, dovrebbe ispirarsi più al passato e rilanciarsi meno nel futuro stesso.

Tutti insieme: trenta o più, che probabilmente vivono nel palazzo in cui dormiano o in quelli adiacenti, si sono fatti avanti presentandosi. Biciclette sotto i sederi, visi pimpanti e puliti, occhi accessi di voglia di vivere. Ricordavano a ognuno di noi un'infanzia fatta di corse nei campi, ritrovi nelle vie vicine a casa e una sola regola: tornare all'orario indicato dai genitori. Poco fiato sul collo – se non la giusta preoccupazione di mamma e papà – e ginocchia sbucciate, pantaloni sporchi, squadre di maschietti che non curano le femmine, e capannelli di bambine che si contendono i fidanzatini. Naturale, semplice, pulito. Bambino. Senza soldi né cellulari in tasca, ma conspevoli dello spazio e del tempo in cui si muovono. Così ci sono apparsi quelli che qui hanno voluto sfoggiare la conoscenza di qualche parola in inglese e chiesto nel dettaglio a Mustapha, da dove arrivassimo, dove andassimo, quanti km, quanta benzina, chi guidava cosa e ancora e di più.

Una curiosità lontana dal morbo del pettegolezzo infantile, ma desiderio puro di informazioni. E stupore, fatto di un bambino che dice all'altro “Sono italiani” e la voce passa da orecchio a orecchio. “Lui si chiama Giorgio!”. “Il più giovane è Flavio”. “Quello coi capelli lunghi fa le foto. Mircooo!”. “Enrico ha la telecamera... Cosa? La telecamera?! Wow! E come funziona?”. “Nicola … Nicolas... Nicolay e Valerio … Pilotano le moto. Che sono elettriche! Elettroniche?! Come sono?? Possiamo vederle?”.

E così via, per ore – ore, cavolo ! - a chiederci di fare foto di loro e con loro, domande, sorrisi, avvicinamenti, due calci al pallone, hna sgommata con le bici. Intelligenti, svegli, educati. Ci sono apparsi così.

Riscopri la genuinità e ti rendi conto, inevitabilmente, soprattutto se nella vita hai figli o se hai lavorato con e per i bambini, che il progresso sta condannando, nei Paesi dove la tecnologia non è un servizio ma un assetto, il diritto all'infanzia concepita come libertà e crescita spontanea.

Anche in Italia, la dittatura dei social network, la (dis)educazione al sospetto, il culto dell'individuo e dell'ego, proposto ai piccoli da genitori distratti, il benessere come valore e non come condizione, stanno generando orde di mini uomini e donne, lobotomizzati di fronte a un computer, spaventati dai coetanei, desiderosi di un'identità multimediale ancora prima di avere avuto il tempo di scoprirsi come umani e bambini.

Non vogliamo farla pesante, ma la differenza – stereotipata, poiché stiamo generalizzando, per carità ! – ci è sembrata netta e la riflessione che abbiamo fatta ci ha portati a considerare il bisogno di un ritorno a un certo tipo di educazione e valori. Se vogliamo figli felici. Soprattutto, se vogliamo figli bambini, che per diventare adulti c'è sempre tempo.

Testo e Foto di Flavio Allegretti

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