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Giorno 4 - Cina flag - 13 Giugno

Da Pechino a Zhangbei: La ricompensa

Per fare tornare i conti, bisogna essere ottimi matematici. A volte i conti tornano senza bisogno di troppi calcoli, magari aiutati dallo strano patto che caso e fortuna stringono a nostra insaputa. Altre volte – come esistesse una legge non scritta che qualcuno chiama Giustizia – si tratta di compensazione, di pesi sbilanciati che distribuiti a modo generano equilibrio.

Poco importa se la fantastica giornata di oggi ha risposto a una delle dinamiche citate o se “doveva andare così e basta” . Ciò che conta è che, da stamattina, il sorriso si è rimpossessato degli occhi e delle labbra di ognuno di noi. C'era decisamente voglia di lasciarsi alle spalle la giornata di ieri, e lo abbiamo sottoscritto quando, pochi minuti dopo le otto, eravamo già tutti a bordo dei mezzi e delle due ruote, pronti per partire alla volta di uno dei simboli più eloquenti – immaginati, rappresentati e sognati – della Cina: la Grande Muraglia.

Usciamo da Pechino con un po' di fatica, a causa del traffico, ma dopo i primi settanta chilometri è rivoluzione: finalmente dopo l'alternarsi costante di aree rurali a grandi città – contrapposizione che abbiamo sperimentata ogni giorno fino a ieri – abbiamo la netta sensazione di entrare definitivamente in un nuovo mondo. Verde, in ascesa, antico e più “vero”, o semplicemente meno contaminato. Attraversiamo una serie di villaggi che si espandono a destra e sinistra della strada che li attraversa. Balliamo come sul Tagadà, a bordo dei pick-up, mentre Nicola e Valerio non sembrano affatto dispiaciuti del dissesto, occasione di piccoli salti e ulteriore test per l'ammortizzazione delle moto.

Da queste parti le persone vivono in una condizione di povertà che qualcuno definirebbe quasi estrema. Eppure non sembrano – agli occhi passeggeri di noialtri che non ne conosciamo a fondo le vite – provate dalla fame o particolarmente sofferenti. Nell' espressione, nello spirito, nella tranquillità apparente, leggiamo una riflessione che ci proponiamo di approfondire lungo il nostro viaggio: esiste la povertà in quanto tale? Oppure ognuno di noi declina il concetto di povertà secondo la propria percezione del benessere? In altre parole: si è “poveri” con pochi oggetti e pochi soldi, oppure si è poveri in relazione a chi ha deciso di definire la povertà?

Riflessione impegnativa per una mattinata che segue un giorno dove ci siamo letteralmente distrutti. Viene spazzata via come le nuvole dopo la tempesta, quando all'altezza di Kubelkou, a circa 400 metri di altitudine, inserita in un sistema labirintico di colline, scorgiamo la Grande Muraglia!

Esiste per davvero, e la sezione che raggiungiamo – lontana dalle aree turistiche ma completamente integrata nella natura – restituisce in tutto e per tutto l'idea della maestosità di questa struttura. Ricorda un serpente, enorme, senza fine, e ogni due o tre chilometri una torretta svetta a scandirne l'antico utilizzo, fatto di controlli che altrimenti non sarebbero stati possibili, vista la complessità del territorio in cui si sviluppa.

Ed ecco un'ulteriore conferma dei benefici, dei vantaggi incontestabili, legati allo spostamento con mezzi elettrici: i pick up, giustamente, non possono spingersi più in là di un certo limite. Non solo perchè c'è da risalire una media montagna battendo una mulattiera che a tratti include gradinate importanti, ma perchè i mezzi a motore a scoppio proprio non possono accedere, nemmeno le moto.

Le nostre, invece, possono! Che poi si debba essere un po' pazzi e molto capaci per farlo, è tutta un'altra questione. Nicola e Valerio risalgono gli sterrati e le pendenze e dove è evidentemente impossibile farlo, ci siamo noi a dare una mano, sollevando tutti insieme le due ruote, o agevolandone il percoso. Non sappiamo se sia già accaduto, ma pensiamo di essere le prime persone al mondo ad avere portate moto elettriche a ridosso della Grande Muraglia; di certo nessun altro occidentale lo ha fatto, contando che nella zona di accesso in cui ci troviamo i rarissimi turisti incontrati, sette o otto, erano tutti a piedi e tutti orientali.

Ci godiamo lo spettacolo, facciamo delle fotografie, e c'è spazio per il silenzio, anche quello interiore, a contemplare la magnificenza di ciò che vediamo e a pensare che i sogni a volte si avverano.

Ci sono sogni interamente fondati sulle emozioni ed emozioni che scaturiscono da occasioni “pratiche”.

Forse l'entusiamo più puro, figlio della passione, dalla partenza a oggi, leggibile chiaramente da chiunque li avesse incontrati, è quello che si impossessa dei piloti.

Dalla Grande Muraglia a un pugno di chilometri dalla nostra destinazione – Zhangbei, circa seicento al confine con la Mongolia – è un tripudio di salite e discese, curve strette e ampie, laghi, colline verdi, conformazioni rocciose tendenti al rosso, strani sassi bianchi come il latte che sembrano galleggiare sull'acqua. È anche la prima volta che Valerio e Nicola non viaggiano sempre con noi, ma si prendono la libertà di anticiparci e piegare le moto, stimolare il ruggito silenzioso di questi motori che sono “sempre su”, avendo una coppia che non conosce variazioni di giri. Bella cosa l'elettricità su due ruote! Per davvero.

Non mancano nemmeno numerosi spunti legati alla dimensione agricola di questa parte di Cina: tutta l'area che attraversiamo è coltivata a mais e immaginiamo la differenza di clima rispetto all'Italia, perchè qui i fusti, oggi, saranno alti venti centimentri, quindi di recente semina, mentre da noi in questo periodo ci si può già giocare a nascondino.

I villaggi sono costruiti in funzione del lavoro della terra: sorgono compatti, come fossero un'unica struttura, direttamente in mezzo ai campi. Le case vere proprie – essenziali, i bagni sono esterni, condivisi – si trovano all'interno, nella pianta rettangolare inscritta, mentre quelle che fanno da perimetro sono collegate con le coltivazioni e alcune macchine rudimentali agevolano lo spostamento dei carichi. Ma solo una volta giunti vicini alla parte esterna, per la lavorazione. Tutto il resto è sforzo fisico, umano, coadiuvato da qualche simpatico asinello.

Anche le serre hanno una logica tutta loro: qui sono scavate nella terra; immaginate grandi capanne, lunghe, quindi a sezione triangolare, che si estendono orizzontalmente. Uno dei due lati inclinati, è in terra, l'altro invece risulta coperto in modo simile alle serre comuni. Di fatto, si tratta di serre “naturali”. Almeno per metà.

Costeggiamo parte del picccolo e delizioso lago di Miyun Shulku, risaliamo e riscendiamo ancora, e ci imbattiamo, all'altezza di un ponte sospeso di pochi metri sull'acqua, in un cumulo di radici sparse su un lato, per tutta la lunghezza della costruzione: è liquirizia, a quanto pare. E nonostante nessuno ce lo spieghi, crediamo che l'umidità causata dalla vicinanza del corso d'acqua, aiuti a far raggiungere alle radici la consistenza che, chi le ha provate, sa essere dura e pastosa, ma non secca.

Anche oggi è tardi, molto tardi. Dobbiamo riposare, in questo alloggio di una cittadina sconosciuta, senza grattacieli o centri di commerci, che conta la bellezza di trecentosettantamila abitanti, eppure esiste un solo luogo che “accetti” stranieri.

Vorrà pur dire qualcosa, se per la prima volta non ci hanno chiesto i passaporti. La civiltà, intesa come moderno connubio di persone, attività e cose, è definitivamente lasciata alle spalle. Ora c'è una Cina vera, alla quale, tra pochi giorni, seguirà l'ingresso in Mongolia.

Testo di Flavio Allegretti

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