Agricoltura, sostenibilità e il caso Cinese
- Dettagli
- Categoria: Sustainable eating
- Creato Lunedì, 17 Giugno 2013 16:35
- Scritto da Super User
Nell'ottica di offrirvi non solo un racconto avventuroso, ma anche degli approfondimenti capaci di cogliere gli aspetti più importanti della sostenibilità dell'alimentazione in ciascuno dei paesi attraversati in moto dal nostro gruppo di avventurieri, dedichiamo questo post al tema dell'agricoltura, per poi soffermarci sul caso Cinese, grazie ad un'intervista a Nicoletta Ferro.
L'agricoltura oggi
Una breve premessa storica è necessaria per comprendere la situazione in cui l'agricoltura si trova a vivere oggi, soprattutto in un contesto di scarsità di risorse naturali e di cambiamenti climatici. Al fine del nostro racconto sintetizziamo per sommissimi capi la storia millenaria dell'agricoltura (nata circa 10mila anni fa), distinguendo tra un pre- e un post- seconda rivoluzione agricola. Il pre- è il regno dell'agricoltura oggi definita “tradizionale”, mentre il post- è caratterizzato dall'avvento dell'agricoltura “moderna”. Che vuol dire? La seconda rivoluzione agricola, cronologicamente collocabile agli inizi del XX° secolo, si caratterizza per l'introduzione della meccanizzazione e della motorizzazione (trattori, mieti-trebbia, etc); la specializzazione produttiva e quindi l'avvento delle monocolture; la selezione genetica di specie vegetali e animali; il ricorso all'industria chimica per input agricoli (pesticidi, fertilizzanti, erbicidi). Questi ultimi due aspetti sono tipici di quella fase della seconda rivoluzione agricola che è stata chiamata “rivoluzione verde” (degli anni '60/'70), chiamata così in virtù dell'enorme salto in avanti che ha reso possibile in termini di produttività agricola. L'introduzione di sostanze chimiche di sintesi e di sementi altamente selezionate per garantire una maggiore produttività, ha consentito sì una crescita esponenziale dei raccolti, ma è stata anche responsabile di effetti ecologici notevoli, di cui però parleremo più avanti nel blog, quando il team di Meneghina attraverserà il Kazakhstan.
Per ora ci basti sapere che l'agricoltura moderna ha portato al degrado della sostanza organica e alla salinizzazione del suolo, all'inquinamento delle falde acquifere, all'eccessivo utilizzo di risorsa blu (acqua) e alla perdita di biodiversità, allo stesso tempo rendendosi responsabile dell'emissione del 18% dei gas serra che contribuiscono ai cambiamenti climatici che a loro volta mettono in crisi l'agricoltura oggi.
Un altro elemento di preoccupazione, oltre a quello ambientale, riguarda la salute dei consumatori. Che fine fanno tutte quelle sostanze di sintesi utilizzate per coltivare il nostro cibo?
L'avvento dell'agricoltura biologica ha rappresentato una delle risposte agricole a questo genere di preoccupazioni (sia ambientali che relative alla salute). Ma che significa agricoltura biologica? Per tornare alla semplificazione che abbiamo introdotto poco fa, possiamo in qualche modo dire che il metodo biologico corrisponde al metodo “tradizionale” di coltivazione, cioè a quello precedente all'avvento della seconda rivoluzione agricola: il biologico quindi non utilizza sostanze chimiche di sintesi (diserbanti, fertilizzanti e pesticidi); i trattori e altri mezzi agricoli sono utilizzati, ma si presta più attenzione al terreno; le sementi selezionate geneticamente si possono utilizzare ma sono vietate quelle geneticamente modificate; la policoltura è preferita alla monocoltura; al posto di pesticidi, per tenere a bada i parassiti che rovinano i raccolti si utilizza la lotta biologica. In realtà, coltivare biologico vuol dire soprattutto sottostare ad un rigido disciplinare internazionale, che prevede metodi di agricoltura (ma anche allevamento) che siano attenti alla tutela delle risorse naturali e del benessere degli animali.
Oggi, nel mondo, si coltivano circa 37 milioni di ettari, pari a 0,86% della terra coltivabile mondiale. In Italia circa 8,61% delle terre coltivabili è dedicato al biologico (con 1 milione di ettari). Per avere più dati sulla produzione biologica dei diversi paesi potete cliccare qui)
Il biologico in Cina
Come avrete potuto intuire tema “agricoltura” è molto vasto: riassumere e generalizzare ci fa perdere le specificità dei diversi paesi. Poiché il nostro obiettivo è proprio quello di raccontarvi le caratteristiche dei paesi che via via incontriamo, abbiamo pensato di fornire qualche informazione aggiuntiva sul caso Cinese.
Poco prima della partenza da Shanghai, se ricordate, i ragazzi hanno fatto visita ad una azienda agricola cinese che coltiva utilizzando il metodo dell'agricoltura biologica. Li ha accompagnati Nicoletta Ferro, che come abbiamo forse già detto, vive da diversi anni in Cina, occupandosi di sostenibilità e responsabilità sociale delle imprese. Abbiamo chiesto a lei qualche informazione sull'agricoltura biologica in Cina, per capire quale sia l'interesse per questo metodo di produzione e per comprenderne la genesi.
Attualmente in Cina, 1.9 milioni di ettari di terra sono coltivati secondo i dettami dell’agricoltura biologica, pari a meno dello 0,36% del totale della terra coltivabile. Le previsioni ritengono possibile che nei prossimi anni la quota raggiunga il 5%: infatti, secondo gli esperti, le proiezioni di crescita del settore dell'agricoltura biologica in Cina vanno dal 20% al 30% annuo. Come ci spieghiamo questo improvviso interesse per il biologico?
Come abbiamo appena visto, l'agricoltura biologica nasce in qualche modo in risposta ad esigenze e preoccupazioni ambientali, oltre che all'esigenza di avere dei cibi privi di residui chimici nel piatto. In Cina invece sembrerebbe che l’interesse per il biologico possa essere fatto risalire soprattutto a esigenze legate alla sicurezza alimentare. Avrete sicuramente sentito parlare dei numerosi scandali alimentari cinesi, soprattutto quelli relativi alle sofisticazioni alimentari che hanno coinvolto ogni tipo di cibo, dal latte in polvere per i neonati, alla carne, al riso. Nicoletta Ferro ci ha raccontato che attorno a questi temi sta emergendo una forte consapevolezza nella società civile cinese. E anche alla luce di questo, la coltivazione biologica sta avendo grande successo, attirando anche investimenti.
La sicurezza alimentare
La questione della sicurezza alimentare è sicuramente un altro tema chiave per capire come declinare il vasto tema della sostenibilità alimentare in Cina. Sempre Nicoletta ci racconta che in seguito ai gravissimi scandali alimentari che la Cina ha conosciuto negli ultimi tempi, il premier Li Keqiang, si è più volte espresso pubblicamente per un inasprimento delle leggi sulla sicurezza alimentare. In particolare, in occasione della conferenza stampa seguita al Consiglio di Stato, il premier ha affermato che “non deve più accadere una crisi di credibilità della portata di quella avuta in seguito allo scandalo del latte in polvere alla malamina." Segno che Pechino sta prendendo la cosa molto seriamente e che si rende conto del potenziale di instabilità sociale che questi temi possono nascondere.
In quest'ottica non stupisce l'annuncio, da parte Ministero della Sicurezza Pubblica cinese, dell’arresto di 900 persone da gennaio a oggi, accusate di aver prodotto e commercializzato carne falsa o altri prodotti alimentari. “Il caso più incredibile”, ci racconta Nicoletta, “è avvenuto proprio qui a Shanghai, dove si è scoperto un traffico di carne di topo e altri piccoli mammiferi, venduta per carne di montone. La gente inizia a chiedersi che ne sarà del Chinese dream - il nuovo mantra che guida l’azione politica della nuova classe dirigente appena salita al potere e che promette benessere per tutti - se non possiamo nemmeno fidarci di quello che mangiamo.” Di questo senso di insicurezza ha parlato ampiamente Ai Wei Wei, l’artista dissidente cinese, che in un intervista al Die spiegel ha sottolineato come molti cinesi oggi non si fidino dell’aria che respirano, del cibo che mangiano, del sistema sanitario. Insomma, una potenziale polveriera per Pechino.
Nonostante questo, dice Nicoletta, sono in molti a pensare che le misure repressive messe in campo da Pechino non siano abbastanza. Prima di punire bisogna pensare a fare rispettare le leggi che già esistono. Quello che molti esperti e osservatori esterni sostengono che la Cina necessiti è un vero cambiamento di cultura alimentare. Ci vuole maggiore educazione alimentare per far comprendere alle persone i rischi correlati a una scorretta gestione e conservazione del cibo, riuscire a far rispettare i regolamenti e le leggi che già esistono e rendere più stringente un sistema di controlli sulla sicurezza alimentare che assicurino il rispetto delle leggi esistenti.
Ringraziamo Nicoletta Ferro per averci dedicato del tempo e vi diamo appuntamento al prossimo approfondimento sulla sostenibilità dell'alimentazione.
A presto!