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Giorno 39 - Romania flag - 18 Luglio

UCRAMOLDANÌA

Testo di Flavio Allegretti

Se la notte prima attorno alle quattro chiudevamo gli occhi dopo una serata di festa e relax, ventiquattro ore dopo – la mattina del 17 luglio – circa alla stessa ora ci svegliamo, alle spalle una giornata di riposo, prepariamo le nostre cose con calma, e alle cinque in punto siamo a bordo delle moto e dei pick-up. Il nostro obiettivo è sconfinare in Romania e, di fatto, entrare in Europa. Si tratta di percorrere meno di quattrocento km, non siamo nuovi alla copertura di queste distanze.

Solo che tra Odessa e Galati – la prima città in Romania – ci sono da superare almeno cinque dogane, tra entrate e uscite. C'è, poi, un grande dubbio che né le mappe cartacee né il GPS riescono a risolvere: la parte sud dell'Ucraina vicino alla quale il Danubio sfocia a delta nel Mar Nero, da Odessa verso il territorio romeno, pare lambire appena la Moldavia. Da un punto di vista puramente cartografico, sembra che ci sia un accesso alla Romania che non prevede l'attraversamento della Moldavia. La geografia politica, invece, fa presumere un passaggio obbligatorio pure in Moldavia.

Ma i conti non tornano, perchè le mappe mostrano un confine nettamente visibile tra Ucraina e Romania, nonostante un pezzo di terra compreso tra esse non sia delineato. Insomma, non ci resta che avviarci e scoprire come stiano le cose. Del resto un aspetto molto interessante che, in un certo senso, restituisce bene l'idea di quale reputazione un Paese abbia di sé in termini di diplomazia internazionale, è proprio attraversarne i confini via terra. Spesso recandosi in Paesi stranieri attraverso le vie aeree, si fanno lunghe file al controllo passaporti ma, nonostante possibili intralci, i sistemi sono abbastanza unificati a uno standard condiviso; perciò non si ha la sensazione di essere arrivati in quel determinato Paese, finchè non si raggiunge la meta prevista una volta usciti dall'aeroporto.

Le dogane di terra, diversamente, soprattutto se remote, in nazioni lontane dall'Europa, sono parecchio più lunghe da attraversare, fortemente connotate dalla cultura del Paese da cui si arriva e, subito dopo, da quella del nuovo.

Fatto sta che scegliamo bene l'oriario di partenza: Odessa è già sveglia, ma non a tal punto da compromettere l'uscita dal suo perimetro a suon di code o altri intralci. Guidiamo spediti fino a Reni – ultimo paesino prima della Romania – e  rimaniamo ammaliati dal delta del Danubio: arriva, in questo punto tutto insieme, carico di un impeto che pare muovere tutta la Terra. Il vento lo accompagna da ovest a est, come se un fiume di aria viaggiasse parallelo allo specchio d'acqua.E dove l'acqua incontra le sponde, o alla sua forza si oppongono barriere di terra ricoperta d'erba, onde di un metro e mezzo si infrangono. Volendo, un buon surfer potrebbe provare a domarle con la tavola giusta. Celebriamo il patto felice stabilito con la parte di Ucraina vista in questi giorni, attraverso le sensazioni che immagini come quella appena assaporata riescono a trasmetterci e, dopo una sosta di un paio di ore per ricaricare le batterie delle moto e riposare un minimo, lasciamo Reni per raggiungere la dogana, pochi chilometri più avanti.

Il mistero inizia a calare i propri veli: il confine che stiamo attraversando, è condiviso da Moldavia e Ucraina. Nel senso che in una stessa dogana riceviamo il timbro di uscita dall'Ucraina e quello di entrata in Moldavia, del cui territorio, paradossalmente, percorreremo poco più di due chilometri per farci timbrare l'uscita e presentarci al confine con la Romania.

Ma non è così facile: gli ufficiali ucraini ci salutano con un sorriso; quelli moldavi, certo disponibili, sono un po' più intransigenti. Trovano un cavillo – sicuramente supportaro regolarmente dalla legge, ma studiato a priori per monetizzare il passaggio di chiunque attraversi questo confine – che ci fa perdere tempo. Sostanzialmente le assicurazioni internazionali coprono quasi tutti i Paesi dell'Unione Europea, Romania compresa. Per l'Ucraina ci eravamo ovviamente premurati di assicurare moto elettriche e pick-up. E la Moldavia? Beh, la Moldavia – ovvero 2 chilometri di numero attraverso un'area di confine recintata e sorvegliata – ha bisogno di un'assicurazione. Poco importa se non incontreremo nessuno e percorreremo questi duemila metri di asfalto a 10 km orari. Bisogna farla. E visto che non esistono assicurazioni per un giorno, si rende indispensabile assicurarsi fino a fine mese. Soldi spesi per niente, in sostanza. Poco più di un centinaio di Euro in tutto, ma è il principio ad avere dei limiti, nonostrante legalmente il ragionamento non faccia una piega.

Ma non è finita: c'è la “Eco-tassa sui Veicoli”. Stesso ragionamento di prima: sei in questa nazione, poco importa se per un minuto o per un mese. C'è da pagare. E, paradosso nel paradosso, pure le moto elettriche che sono la celebrazione dell'ecologia legata allo spostamento motorizzato non godono di sconti!

Ok, facciamo tutto quello che dobbiamo fare e, in realtà, non fosse per l'assurdità di quanto appena affrontato, abbiamo pure socializzato con i doganieri moldavi, gentili e disponibili quanto i colleghi che li hanno preceduti.

“Dai che ci siamo”, pensiamo. Ora ci aspetta la dogana romena che, essendo una porta ormai formalmente unita all'Europa, dovrebbe avere accesso veloce e indolore. Ma c'è una riflessione più ampia da fare. A livello prettamente burocratico – poiché quello culturale si può approfondire solo vivendo a stretto contatto con un popolo diverso a quello di appartenenza – esistono ancora stereotipi e pretesti che a volte vengono anteposti al buon senso, giusto per rendersi antipatici, fare pesare le proprie posizioni professionali, rompere le scatole gratuitamente.

È quello che succede sul confine con la Romania, quando Nicola e Valerio si presentano con il Carnet Ata all'ufficio preposto (il documento che certifica tutto ciò che ha viaggiato con noi e che deve rientrare in Europa, inclusi i mezzi, e che deve essere perfettamente timbrato e vidimato, non solo per questioni legali, ma anche per recuperare i depositi economici legati alla merce e ai veicoli).

Trovano un ufficiale a cui gli italiani non vanno a genio, e ciò che avrebbero potuto fare in trenta minuti, lo fanno in tre ore.
(Sì, siamo definitivamente in Europa, dove talvolta luoghi comuni, eccessivo tifo per una squadra o per un'idea, spirito di competizione e quanto altro, precedono e sminuiscono il piacere di incontrare culture diverse, sostituendo la collaborazione al pregiudizio).

Poco male: alle otto di sera siamo in Romania e percorriamo dal confine altri trenta Km, per trovare agio in un Motel. Stanchissimi parcheggiamo i mezzi e ci assicuriamo di potere usufruire dell'energia elettrica necessaria per la ricarica notturna delle moto. Proprio mentre stiamo scaricando i bagali e inizia a essere buio, un'esclamazione simile a quella che, un mese prima, avevamo sentito in Mongolia, ci raggiunge e ci gela per un istante.
“Non ci posso credere. No, non è possibile”, dice una voce identica a quella di Valerio. Ci voltiamo e non abbiamo dubbi. Le parole le ha pronuciate lui e conoscendolo non si sta sbagliando. È certo che ci sia qualcosa che non è a posto.
Sì, ma cosa?
“Avete presente la mia borsa?”, domanda.
“Certo”, rispondiamo in coro, e già un'idea balena nella mente di ognuno.
“Dieci minuti! Solo dieci minuti mi sono addormentato in quel diavolo di bar. Non ci posso credere, cazzo”.

L'idea balenata diventa una realtà chiara e definita: prima del triplo confine Ucraina-Moldavia-Romania, ci eravamo fermati a Reni per ricaricare le batterie. Svegli dalle quattro, alcuni di noi sono crollati per una manciata di minuti dove capitava: nel giardino del bar “Pit Stop”, piuttosto che direttamente  sul tavolo in legno. Valerio aveva poggiata a pochi metri la sua borsa, con all'intero vestiti e valori personali. Svegli di colpo e consapevoli del triplice confine, siamo partiti in fretta e furia.

Ora sono quasi le dieci, la giornata è stata massacrante e nonostante dal bar Pit Stop ci separino solo 40 km, c'erano volute sei ore per attraversare i confini e le relative dogane. Inutile dire che lo scontrino del pranzo consumato nel locale, non riporta alcun numero di telefono. E, in ogni caso, sarebbe come provare a cercare l'indirizzo di un'osteria in montagna nella frazione di un paese sconosciuto. In Ucraina. Dove, almeno in quel luogo, la connessione internet era inesistente.

Tentiamo una ricerca via smartphone, ma risulta evidente che potremmo provare per ore invano. Non esiste niente che ci possa aiutare a trovare un recapito e contattare le persone che ci hanno sfamati oggi. E se pure ci fosse un modo, ricordiamo perfettamente che nessuna di loro parlava una sillaba di inglese. Rimangono due possibilità: rinunciare a quanto dimenticato – ammesso e non concesso che qualcuno lo abbia trovato e conservato senza interessarsi del contenuto, da dieci ore a questa parte – oppure partire, farsi tre dogane, spiegare in che senso siamo passati da quelle parti solo poche ore prima (e con non pochi problemi) e adesso abbiamo bisogno di rifarlo. Romania, Moldavia, Ucraina. E, ancora, per rientrare, Ucraina, Moldavia, Romania.

Non facciamo in tempo a confrontarci, capire se abbia senso e, al limite, decidere se farlo subito o l'indomani o se esistano altre possibili soluzioni, che Valerio è già in macchina. Da solo, “perchè io ho fatto e io disfo e al limite se serve rifaccio”, dice senza mezzi termini e senza ipocrisie. Vuole partire, adesso. E parte.

Non crediamo ai nostri occhi. Non perchè pensiamo che stia facendo un errore, anzi sentiamo di apprezzare profondamente una tale caparbietà, ma perchè non capiamo dove riesca a trovare la forza, la voglia, lo spirito necessari per tornare in Ucraina. Con, mediamente, scarse probabilità di ritrovare la borsa o, semplicemente, rischiare che il locale sia chiuso o che i confini e le dogane siano beffarde. Ma lui prende e parte, senza avere mangiato, senza avere fatto niente che non fosse arrivare di fronte a un Motel romeno, scendere dalla moto e salire un attimo dopo su uno dei pick-up.
Alle due e dieci minuti, dalla camera dove alloggiamo, sentiamo un rumore. Riconosciamo il motore del pick-up che guidiamo da quasi due mesi. Abbiamo la certezza che il nostro amico sia di nuovo qui. Sei ore dopo, di fronte a pane e marmellata, Valerio – riposato come arrivasse da una settimana alle terme – dice tre parole: “tutto a posto”.
Ci bastano per capire che la storia è andata a buon fine. E, ancora, pensiamo che dovrebbe essere sempre così: a volontà e credo devono corrispondere gloria e premi!

Con il “tutto è bene, ciò che finisce bene” nella testa, partiamo alla scoperta della Romania, nel nostro trentanovesimo giorno di viaggio.
Puntiamo alla Transilvania e, in particolare, scegliamo di tagliare questo Paese perfettamente a metà, passando da Brasov e puntando, per la sera, la città di Sibiu.

Voi ci siete mai stati in Romania? Oppure l'idea che ne avete – che non è un'idea, ma probabilmente una proiezione costruita su una serie di avvenimenti poco gradevoli avvenuti in Italia per opera di alcuni cittadini romeni emigrati nel nostro Paese – è fatta di degrado, di “terzo mondo”, di chissaqualesituazione vivono da quelle parti.
Noi in Romania non ci eravamo mai stati. Non attraversando i Carpazi e i paesini, le cittadine e le città che da est si spingono a ovest e che, in un paio di giorni, ci condurranno ai confini con la Serbia.

Vi diciamo qual è la novità? Ebbene, la Romania – quella vista da noi, dodici occhi e sei cervelli, in quattrocento chilometri di viaggi e fermate e visite (certo non sarà solo questa, il “bello” si contrappone al “brutto” ovunque) – assomiglia a … Non sappiamo a cosa, ma la questione è semplice: o abbiamo avuto un'allucinazione collettiva, oppure questa porzione di Paese potrebbe essere descritta con le parole che seguono.

Strade perfettamente asfaltate, pulite, non una carta in giro. Colture, piantagioni, mantenute e classificate con cura maniacale. Ottimi i servizi e il cibo e soprattutto... Che meraviglia! Quella naturale, dei Carpazi e delle colline che abbassano verso piane irregolari, dove le persone girano in ugual modo a bordo di auto moderne o carretti trainati da asini e cavalli. Le cicogne dimorano, in decine di nidi costruiti, sopra i tetti e i lampioni. A gruppi di tre, quattro o più, si adagiano insieme e sembrano riflettere dall'alto sul passaggio di centiania di uomini.

E la meraviglia architettonica: castelli che accompagnano la fama del Dracula succhia-sangue sorgono su eremi opposti alle più alte montagne; Brasov ha una piazza che si chiama Sfatului – una tra le tre piazze più belle di tutta la Romania, dicono - ed è circondata da aiuole di fiori multicolore, perfettamente sistemati in disegni geometrici, sovrastata da edifici gotici e costruzioni medioevali, palazzi costruiti dai Sassoni e la favolosa Chiesa Nera, eretta nel Quindicesimo secolo, diventata di quel colore a causa di un incendio che nel 1689 ne ha scurite le mura.

E poi una sorpresa ancora più grande, circa duecento km dopo. Sibiu, eletta nel 2007 a “Capitale della Cultura” dall'Unione Europea, è semplicemente una perla splendente in un mare sconosciuto e pulito. Anch'essa di matrice Sassone, vede attorno chiese fortificate erette dal Dodicesimo Secolo in poi; palazzi evedentemente gotici e meravigliosi edifici che crediamo, dall'architettura, siano Ottocenteschi, coronano due Piazze. La Maggiore e la Minore, sono praticamente adiacenti. Le attraversiamo di sera, in mezzo a luci soffuse e a tantissime persone che passeggiano, cenano, bevono qualcosa nei numerosi cafè. Addirittura c'è il cinema all'aperto, accesso libero, famiglie, fidanzati, ragazzi, compagnie, bambini comodi su centinaia di sedie disposte in modo ordinato, uno schermo che potrebbe fare invidia a quello di uno stadio durante un concerto di Vasco. Ma il volume è giusto, tutto attorno è appena illuminato. Regnano un'armonia, una pulizia, una calma viva, in pace con se stessa, che potremmo essere a Vienna o, per altri versi, a Copenaghen, e non ci sentiremmo meglio. Intendiamo dire che la Romania, il nostro assaggio, come capitato in altri Paesi negli undicimila km precedenti, ci ha lasciati davvero sopresi e appagati. Detto banalmente: è tutto bellissimo!

Se poi volete credere al fatto che la maggior parte delle persone incontrate, parlano molto bene l'inglese (e pure l'italiano, perchè hanno parenti o amici emigrati nel nostro Paese), sono gentili e, se lavorano, in hotel o al ristorante, professionali e puntuali, allora ci vengono pensieri – o, meglio, domande – difficili da evitare.

Che succede in Italia? Abbiamo forse pensato di essere così bravi da poterci fermare e guardare dall'alto in basso chi, nel silenzio, luoghi comuni a parte, si è dato da fare? Ci siamo illusi di avere il dono dell'eterna giovinezza? Sveglia ragazzi, che l'Europa è un'altra. È quella che troppo spesso snobbiamo, quella che crediamo arretrata, quella che preferiamo conoscere e giudicare da un paio di notizie di cronaca. L'Europa di oggi e, con grande probabilità, di domani, è più a est di quanto possiamo immaginare. Ma tutta questa bellezza, questo ordine, questa novità inattesa, non devono disarmarci: se siamo stati capaci di insegnare a qualcuno e ammirare la bravura dei nostri alunni fino al punto di essere superati, serve, adesso, solo rimboccare le maniche e rimettersi al lavoro. E imparare noi, se è il caso. Siamo per cromosomi svelti e arguti: si tratta solo di crederci e di poterlo fare.

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