Meneghina Express’ numbers:

12379 Kilometers in 44 days

350 hours riding

297 batteries recharged

12 countries

4500Kg Co2 reduced vs. gas

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Giorno 20 e 21 - Kazakhstan flag - 29 e 30 Giugno

Da N 51°13.925 E 085°38.512 a Semey (Kazakstahan) via Pebghalysk: Le quattro stagioni, toccata e fuga

Il concerto d'acqua che risuona e corre tra le sponde strette del torrente vicino al quale ci siamo accampati e abbiamo trascorsa la notte, ha favorito e ispirato il sonno e la sua natura. Allo stesso tempo, come avevamo immaginato, non ha risparmiato lo scontro con un clima umido che unito a un calo di temperatura sensibile, ci ha fatto soffrire un bel po' di freddo, del quale ci liberiamo solo alle sei, quando il sole che per fortuna sorge presto, inizia a scaldare le tende concedendoci una sveglia abbastanza agiata.

Il GPS, ieri, nel tardo pomeriggio, non segnalava paesi o cittadine per decine di chilometri dal punto in cui abbiamo campeggiato, mentre le mappe della Russia in nostro possesso non coprono questa area. Non bastano nemmeno le carte locali che abbiamo comprate, perchè siamo tra la regione dell'Altay e una nuova, che contemplano solo la parte orografica e non quella stradale di questa porzione di Russia, descritta inoltre con caratteri cirillici che in questo momento non riusciamo a tradurre. Capiamo però, che passaremo dai millecinquecento metri di altezza, a soli trecento sopra il livello del mare, nello spazio indicativo di duecento chilometri. Pari, forse, a quattro ore di guida, inclusi i cambi di batterie alle moto ed aventuali altre soste.

Ciò che non immaginiamo è che le previsioni – o, meglio, le mancate informazioni – di decine di chilometri nel “nulla”, fatta eccezione per la natura, si rivelano del tutto errate. Dopo soli quindici chilometri di guida nel nostro ventesimo giorno di viaggio, inziamo ad attraversare un paese dopo l'altro. Non solo attraversiamo piccoli e medi borghi di montagna che diventa sempre più bassa, ma abbiamo i privi veri grandi contatti con la civiltà “moderna”, fatta di moltissimi turisti che si distinguono nettamente dai locali. Vestono con abiti cittadini, hanno automobili nuove, tende piantate sulle sponde dei fiumi. A loro servizio, numerosissimi mercatini, negozi e punti di ristoro, che perlopiù offrono prodotti tipici: cappelli e calzettoni di lana ovina, per quanto rigurda l'abbigliamento; miele e derivati, incluse pappe reali, saponi, unguenti e muschi lavorati, per quanto riguarda i prodotti biologici del territorio.

Ci sono, inoltre, centri abitati che nascono ai margini della direttrice principale, casette colorate in costruzione, strutture che affittano moto da cross, quad, gommoni e canoe. Centri per il Rafting, che hanno furgoni sponsorizzati sopra i quali sono caricati gommoni specifici, con a lato caschetti e pagaie, stretti nelle corde.

In effetti il nostro percorso è una discesa graduale e i torrenti che si snodano a lato hanno pendenze intreressanti, punti che originano cascate e discese ripide di difficoltà medio-alta. Forse più impegnative delle rapide che abbiamo sfidate diverse volte in Val Sesia, nonostante molto dipenda dalla condizione del torrente del caso, in base a stagione e millimentri di pioggia scesa nel giorni precedenti all'avventura.

Cambia gradualmente anche la natura e il clima: spariscono le alture e le nevi perenni, gli abeti e i pini lasciano spazio a frassini, betulle (o alberi molto simili a queste), larici. Da i cinque gradi mattutini, ne percepiamo dieci in più dopo un'ora dalla partenza e arriviamo a venticinque gradi all'ombra quando, nel primo pomeriggio, in corrispondenza della pausa pranzo, siamo ormai i pianura. Prima di arrivarci, abbiamo visto variare anche i banchi dei mercatini stradali: ora hanno ottimi funghi porcini in esposizione, e più giù frutta e verdura a chilometro zero: amaroni, albicocche, pesche, susine; insalata verde a foglia piccola ma più larga che lunga, pomodori in due qualità distinte – grandi e porpora, minuti e intensamente rossi – carote e patate. Non mancano nemmeno i cereali, declinati soprattutto in orzo e farro, e birra di frumento che viene spillata di fronte ai nostri occhi. Ne acquistiamo una bottiglia e brindiamo seduta stante: fresca, fermentata con metodi che non conosciamo, risulta nell'immediato dissetante e tradisce proprietà diuretiche delle quali beneficeremo a posteriori.

Continuiamo a guidare, ora verso sud-ovest, puntando la città di Pebghalysk, dove trascorrermo la notte. A quel punto, saremo a soli sessanta km dal confine con il Kazaksthan.

La Russia delle montagne e delle colline, diventa gradualmente e definitivamente una pianura. I paesi non sono più borghi, ma città in miniatura, ognuna delle quali ha ancora connotati espliciti dell'orgoglio e della grandezza – come geografia e come impero – della Ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Se una determinata cittadina ha dato i natali a una serie di ufficiali che si sono distinti nella Seconda Guerra Mondiale, allora al posto dei cartelloni pubblicitari, a margine della strada che attraversa quella cittadina, ci sono raffigurazioni delle foto di questi militari, con le onoreficenze guadagnate, il corpo di appartenenza, la data della nascita e della morte. E, in generale, nei volti delle persone che incrociamo - quelle alle quali chiediamo un'informazione, o le molte che ci vedono arrivare distinguendo immediatamente una “novità” in un territorio non così battuto da visitatori stranieri – leggiamo un certo orgoglio, una certa dignità figlia dell'appartenenza a una potenza. La quale, però,dal punto di vista umano e per quel poco che abbiamo potuto evincere in quarantotto ore, è solo in apparenza – e, forse nello stereotipo dei film e delle rappresentazioni – una forza di ghiaccio.

I “russi” - questa minima parte di una singola esperienza piccola piccola – ci sono sembrati cordiali, garbati, disponibili. Gli uomini e le donne di qui, potessimo esprimerci con una metafora, ci sono apparsi simili a un fiore che vuole sbocciare ma riesce o può farlo solo fino a un certo punto. Come se ci fosse una zona d'ombra che non ne permette il trionfo di colore fino in fondo. Ma in potenza questa sbocciatura c'è, e, con la confidenza e lo stimolo, crediamo potrebbe e desidererebbe mostrare ogni bel petalo.

Fino a prova contraria, ogni singola persona – per non parlare dei bambini ! – che abbiamo incrociata attraversando le strade di cittadine povere ma ordinate, ha alzato la mano per salutarci e allargate le labbra per sorriderci. Qualcuno, ancora, ha alzato il pugno chiuso, come a condividere con noi le nostra gesta moderne, fare il tifo, nonostante non sappia cosa stiamo facendo. Ma basta essere in giro con due pick-up identici, moto che non fanno rumore (moto, non se ne sono viste molte, qui), e puoi essere certo di essere al centro dell'attenzione. Che ti viene data in modo discreto, domandandoti se si possono fare fotografie, anziché farle e basta.

È un fascino decadente, sobrio, ordinato e – ancora una volta – orgoglioso anche nell'architettura, quello che ci strega mentre raggiungiamo l'albergo dove pernotteremo.

Continueremo a pensarla allo stesso modo e a rinforzare un'idea già positiva anche l'indomani – ventunesimo giorno di viaggio per noi di Meneghina Express – quando partiamo alla volta di Semey.

Proseguono le pianure, verdeggianti e profumante: carote per ettari e braccianti che coltivano la terra, fiori di camomilla, e margherite gialle; c'è un caldo che potrebbe assomigliare, se paragonato all'Italia, a ciò che si sentiva qualche anno fa a primavera inoltrata o nel primissimo autunno. Pare davvero, in quarantotto ore, di avere vissute le quattro stagioni tutte insieme, tanto per la variazione di temperature, quanto per gli sfondi, i colori, i profumi che ci hanno investiti. Tutti insieme.

Sul check-point con il Kazaksthan, troviamo Mustapha. È la nostra guida in questo Paese inedito – nel quale riusciamo a entrare nello spazio di tre ore; procedure abbastanza snelle tanto per l'uscita dalla Russia, quanto per l'entrata in Kazaksthan: è solo l'attesa, la “coda” che ci inchioda – e sembra un tipo davvero in gamba. Anzi, si dimostra subito informatissimo e cordiale: ha cinquantotto anni, conosce bene l'inglese, si occupa di sviluppo e sostenibilità nella città di Almaty e sarà con noi per i prossimi dieci giorni.

Mentre percorriamo i primi cinquanta Km kazaki verso Semey, Mustapha ci passa un sacco di informazioni interessantissime circa il suo Paese: dettagli e numeri, che costituiranno un'ottima base per i diari che seguiranno, fatti di una storia che si mostra avvincente nei suoi primi assaggi.

Un'altra certezza, meno entusiasmante per i piloti dei pick-up e delle moto, si palesa da subito: le strade! Sono semi-asfaltate. E ci può stare: arriviamo dalla Mongolia...

Però, queste, hanno crateri che si scorgono solo due metri prima di piombarci dentro e lasciarci un semiasse. Qualcosa ci dice che sarà impegnativo guidare anche – e, forse, soprattutto – qui, per i prossimi tremilacinquecento km. Ora, però, non ci fasciamo la testa: ancora un'ora in meno di fuso rispetto all'Italia, che ci garantirà sessanta minuti di sonno in più; le moto che hanno autonomia sufficiente per raggiungere la locanda dove pernotteremo, e uno splendido tramonto che incornicia il passaggio di Nicola e Valerio, che gridano al sole: “ Questa è la quarta Nazione che attraverseremo!”.

Testo e Foto di Flavio Allegretti

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