Meneghina Express’ numbers:

12379 Kilometers in 44 days

350 hours riding

297 batteries recharged

12 countries

4500Kg Co2 reduced vs. gas

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Giorno 15 e 16 - Mongolia flag - 24 e 25 Giugno

Da Hurengiyn a Khovd Città: Dentro l'Altai

I bambini che hanno dormito insieme, l’uno vicino l’altro, si svegliano di buon mattino e fanno chiasso. Non è un problema: anche oggi dobbiamo macinare parecchi chilometri e, soprattutto, vogliamo appurare se le previsioni di sventure – pozze profondissime, terra cedevole, valanghe e nubigfragi – troveranno conferma oppure no.

In realtà, mentre percorriamo i primi centocinquanta km in direzione di Altai, siamo perseguitati dalla pioggia: non è troppo forte, però è costante. Qualche pozza c'è, e ogni volta che la scorgiamo a pochi metri da noi, siamo incerti se passarci in mezzo mantenendo la velocità – tra i 40 e 60 orari – oppure cercare una via alternativa. Non possiamo effettuare una sterzata brusca, perchè rischieremmo di distruggere le auto o parte del carico posteriore. Per le moto è più divertente, perchè sono agili e chi le pilota non lo è meno.

Ma c'è freddo, parecchio, a duemila metri con la pioggia e nuvole spesse a coprire il sole, perciò Nicola e Valerio colgono occasione, quando ci fermiamo a cambiare le batterie, per aggiungere uno strato al loro abbigliamento, cambiare i guanti e indossarne una versione più imbottita e impermeabile.

best shot 25June2013

Best Shot by Mirco Lazzari

Ormai siamo definitivamente usciti dalla Mongolia del Sud, il Gobi. Ora percorriamo la parte Ovest, infiltrandoci tra le alte vette dell'Altai, vicino alle quali trovano spazio alcuni dei territori più caratteristici del Paese, oltre a una serie di punti di interesse storico e culturale.

Le incisioni rupestri, all'altezza delle grotte di Tsagaan Sala risalgono, secondo gli studiosi, a quarantamila anni fa e sono tra le più importanti di tutto il continente asiatico. Nella stessa area, ci sono antiche statue di guerrieri con divise e corazze diverse tra loro, a testimoniare che, in questa regione di confine, ci furono parecchie ingerenze della popolazione Kazaka, la cui cultura si è mischiata a tal punto con quella locale da generare lingue diverse. Tant'è che la nostra guida dichiara che da Khovd in poi non sarà sempre in grado di comunicare con le persone che incontreremo.

Nel frattempo, dobbiamo riuscire ad arrivare a destinazione, Khovd City. Le auto hanno bisogno di un'ulteriore messa a punto. Ogni giorno subiscono sollecitazioni pazzesche e non basta regolare la pressione degli pneumatici, fissare con cura viti e bulloni. Alcune saldature, sulla piastra posteriore che regge le moto in caso di emergenza, sono saltate a forza di continui sbalzi del terreno. L'interno delle auto è color cammello. C'è tanta di quella sabbia, dentro, che con un dito possiamo scrivere vicino al cruscotto le coordinate della giornata.

E poi le moto; fango incrostato, continue sollecitazioni. Vento, altitudine e temperatura ne pregiudicano la resa.

Arriviamo ad Altai attorno a mezzogiorno e abbiamo una sorpresa: sono le undici!? Sì, adesso abbiamo raggiunta una latitudine che prevede un'ora di fuso in meno rispetto a dove ci trovavamo ieri. Per cui godiamo di un'ora in più di luce che potrebbe risultare utilissima.

Non finiamo di dire “luce” e, in sosta ai marigini d'una pompa di benzina, il sole buca le nuvole. In un attimo da otto gradi ne percepiamo almeno dieci in più. A duemila metri queste variazioni non sono assurdi: molto freddo con la pioggia e caldissimo con il sole. Ci togliamo felpe e giacche, i piloti tolgono via le anti-pioggia e siamo pronti a ripartire. Non pensavamo di poter raggiungere, già oggi, la città di Khovd. Ma se riusciamo a raggiungerla, guidando per altri duecento chilometri – che, da queste parti, si percorrono in almeno quattro ore – stasera potremmo riposare con calma e domattina potremo dedicarci allo studio dell'itinerario per raggiungere il confine, il nostro primo ingressoin Russia.

Il sole adesso è padrone del cielo e illumina ciò che circonda il nostro passaggio. Tutto è più chiaro e possiamo avere riferimenti più precisi: sulla destra, a venti km in linea d'aria, riusciamo a scorgere  un'ampia area verde piantumata. Sono i primi alberi che vediamo, fatta eccezione per qualche raro arbusto in cui ci siamo imbattuti nell'attraversamento delle cittadine. Adesso ci troviamo ad una quota inferiore ai 1500 metri e laggiù, nella macchia verde, forse l’altitudine è inferiore. È il parco nazionale Khar Us, area protetta, bagnato dal lago omonimo: si tratta del secondo lago più esteso della Mongolia e, a quanto pare, risulta inavvicinabile, come una bella scultura di un artista anonimo che si può guardare e non toccare. Le sponde infatti sono fangose, a tal punto da divenatare sabbie mobili. Qulasiasi forma di vita provi ad avvicinarsi è condannata a spronfondare ai margini dello specchio d'acqua. Di fatto, non si può pescare, non si può nuotare, non c'è accesso per imbarcazioni o per altri mezzi di balneazione. In inverno il lago ghiaccia: solo in quel periodo qualcuno tenta di entrare con qualche mezzo a due ruote, ma il più delle volte loo strato cede e c'è il rischio di ibernare.

Continuiamo a viaggiare a buon ritmo, ma spesso, proprio quando ci si illude che la strada sia dritta e sicura, una buca profonda compare dal nulla. Allora si può scivolare. Così una delle moto riporta un lieve danno al manubrio, che però non pregiudica la marcia e che, a detta dei piloti, verrà riparato in un'ora, quando arriveremo a destinazione.

Mentre viaggiamo, tra mezzi a due e quattro ruote, continuiamo a domandarci dove siano quelle insidie che ci erano state annunciate. Procediamo sereni ma guardinghi: le “sorprese” arrivano quando meno te lo aspetti e il più delle volte, in territori del genere, non sono affatto gradite.

Arrovellati sulla domanda più grande, la risposta arriva inattesa sotto forma di due grandi furgoni che portano una targa europea. Sono cittadini olandesi, il più giovane dei quali ha settanta anni.

Come alieni provenienti dalla stessa galassia ed emigrati su un altro pianeta, ci incrociamo e non possiamo fare a meno di fermarci, mettere la retro marcia, e ritrovarci a parlare una lingua comune. Queste persone stanno viaggiando da circa sei mesi.“Siamo in pensione “– dice uno degli autisti, mentre nel frattempo le mogli ci raggiungono e si presentano - “e sognavamo di girare il mondo, in questa maniera”.

Chiediamo loro ciò che più ci preme, una volta appreso il fatto che sono entrati in Mongolia dallo stesso confine russosu cui puntiamo noi. Ovvero, come sono le condizioni delle strade, se davvero ci sono frane ad ostacolare il percorso e quanto tempo potremmo metterci per raggiungere la meta.

Il confronto è rassicurante: le strade, certo, non saranno delle piste battute sulle quali scivolare ad occhi chiusi, ma se ce l'hanno fatta con mezzi con sole due ruote motrici e con qualche anno in più sulle spalle, noi possiamo andare tranquilli.

Così avviene:percorriamo la strada per altri cento chilometri, lambendo le alture dell'Altai, dove la gente locale caccia con le aquile. Scelgono solo le femmine, perchè sono più aggressive e precise nel puntare la preda. Le addestrano da molto piccole, prima ancora che sappiano volare, e stringono con loro l'ennesimo patto uomo-animale, necessario per la sopravvivenza reciproca. Qui si vive “ancora” così..

Khovd risulta essere la cittadina più moderna tra tutte quelle toccate. Moderna significa: c'è una piccola zona dedicata ai pezzi di ricambio e alle saldature per le auto; esiste un mercato simile ai nostri paesi, dove ognuno predispone bancarelle con generi alimentari, abbigliamento, cianfrusaglie inutili e quanto altro possa essere consumabile.

Riusciamo a vedere tutto ciò; per noi, l'indomani, diventeranno nevralgici: dovremo necessariamente fermarci per l'intera giornata e mettere a punto tutto. Rimarrà Olgii come centro importante da passare, a soli centosessanta km dal confine, ma forse non avremo tempo per sostare lì.

Molto stanchi, troviamo un buon alloggio, questa volta davvero confortevole – qualcuno non abituato ai nostri ultimi soggiorni, domanderebbe interdetto: “confortevole?!” -  e dopo una doccia calda e centimetri di terra sul piatto, che si stacca dalla pelle, dai capelli, dalle barbe, sprofondiamo nel sonno che, anche domani, non prevede sveglia prima delle otto.

Il 25 giugno: siamo quasi ad un mese dall'arrivo previsto in Italia. Nicola,Valerio e Giorgio sistemano le moto, Enrico e Mirco oltre a immortalare e riprendere quanto accade quotidianamente, aiutano a fare tutto il resto. Così come per chi scrive, che di giorno guida uno dei pick-up e, con l'aiuto degli altri, ne cura la manutenzione e coadiuva il team in ogni esigenza, ma che di notte ha il compito di ispirarsi per raccontare quanto leggete.

A conti fatti, oggi, oltre a un po di svago per mercati, abbiamo saldato quanto c'era da assemblare, rimesso in sesto le moto, pulito le auto e schiarite le idee. Domani puntiamo Olgii come  tappa intermedia e solo là capiremo fino a dove potremo arrivare. In un campo, all'interno di una Ger, forse l'ultima in cui avremo il privilegio di pernottare fino a chissà quale altra storia, non sappiamo se riusciremo a trovare una connessione internet per inviare questo racconto, ma sentiamo di potere scrivere che, per oggi, è davvero tutto.

Testo e Foto di Flavio Allegretti

Path traveled today